Il film è disponibile dal 13 marzo al 29 aprile 2023
Padenti in sardo vuol dire foresta, in questo caso la foresta di Is Pranus (gli altopiani), nella Sardegna sud orientale.
Cicale, passi, colpi sordi di asce che entrano nella corteccia di sughere secolari, il verde dalle molte tonalità e l’arancio carico dei tronchi scortecciati: quello cui assistiamo nel film è un concerto per immagini e suoni calato nello spettacolare ambiente di una sughereta mediterranea, grande polmone verde e filtro naturale per l’aria che respiriamo.
Marco Antonio Pani: nato a Sassari nel 1966, compie studi classici e artistici e si diploma come esperto nella gestione degli audiovisivi nel 1990. Lavora come operatore e montatore in tv private, poi come regista e sceneggiatore realizza più di trenta documentari turistici, archeologici e di storia dell’arte.
Nel 2000 vince il Premio Kodak al Festival Filmvideo 2000 con il corto di finzione Chinotto.
Trasferitosi a Barcellona, si diploma nel 2002 in regia cinematografica e nel 2007 in direzione della fotografia presso il Centre d’Estudis Cinematográfics de Catalunya.
In quegli anni realizza, col finanziamento del Ministero della Cultura spagnolo, il cortometraggio di finzione Las Puertas del Mundo Niño e altri due cortometraggi Ladrones de zanahorias e Charcos, entrambi selezionati dal Festival Visioni Italiane di Bologna.
Dopo il documentario Els Pintors Catalans a Sardenya è la volta del cortometraggio etnografico di fiction Panas col quale si aggiudica il Premio Avisa per progetti di antropologia visuale dell’ISRE di Nuoro. Nel 2009/2010 realizza il documentario Arturo torna dal Brasile, Primo Premio al Concorso per progetti “Storie di Emigrati Sardi”. Nel 2013, oltre a Capo e Croce, firma il film di montaggio ÌSURA DA FILMÀ, su immagini di Fiorenzo Serra, con le musiche da Paolo Fresu.
Attualmente insegna regia cinematografica nella facoltà di scienze della comunicazione dell'Universitat Internacional de Catalunya, a Barcellona.
Questo è un piccolo film autoprodotto e è concepito come un triplo ritratto. Quello di una foresta di sughere, appunto, nei giorni in cui il sughero delle querce viene raccolto (ogni dieci anni, perché tanto è il tempo che la corteccia impiega per rigenerarsi. Quello degli uomini che con duro lavoro e con rispetto portano a termine questa raccolta. Quello di una persona che con dedizione e passione ha voluto che a fare il lavoro fossero gli abitanti del villaggio cui la foresta appartiene. Il suo villaggio. Veniamo a conoscenza di quest’ultima vicenda dalla voce narrante della persona che ha perseguito e raggiunto l’obiettivo, il sogno della sua vita, testimonianza di un legame con la terra, le sue tradizioni, la sua capacità di accogliere le comunità umane e restituire loro i benefici che può garantire.